30 dicembre 2012

Compagna Marilyn?

il manifesto 29.12.2012 C’è una canzone di Dolly Parton, icona sexy della country music, che dice: “Just because I’m blonde don’t think I’m dumb” – se sono bionda non significa che sono scena. La bionda sexy Marilyn Monroe non solo si era sposata un intellettuale di sinistra (cose praticamente sinonime per l’FBI anni ’50) di nome Arthur Miller, ma aveva frequentato gente sospetta durante un viaggio in Messico. Tanto basta per metterla sotto sorveglianza, se non come comunista ameno come “fellow traveler” – compagna di strada, o “utile idiota” come si diceva in quei tempi. Per di più una telefonata anonima a un giornale di destra ossessionato dal comunismo (il Daily News) testimonia che le troupe dei suoi film sono piene di comunisti e che addirittura una parte dei suoi guadagni finiscono nelle casse del Partito. Che Marilyn avesse simpatie per il movimento per i diritti civili e non sopportasse Edgar J. Hoover risulta dai racconti di chi la frequentò, viaggio in Messico compreso. Che la sorveglianza totale dell’FBI, del maccartismo e dei suoi strascichi vedesse una minaccia alla sicurezza nazionale in ogni persona sospetta di pensare con la propria testa, lo sapevamo. Che l’ossessione anticomunista sia capace di far sragionare lo vediamo, mezzo secolo dopo, anche da noi . Ma in questa storia c’è di più: quando si parla di Marilyn non si tratta solo di una persona, ma di una di quelle icone che danno il senso di un’epoca: avere paura di Marilyn significa avere paura di tutto quello che lei rappresenta, avere paura della bellezza, del gioco, della leggerezza, della seduzione – tutte cose che messe insieme all’intelligenza sua e del suo ambiente diventano davvero una miscela esplosiva. Alla fine degli anni ’50, lo spettro politico era diviso fra una destra filoamericana e obbediente in politica e antiamericana in cultura, e una sinistra colta antimperialista e al tempo stesso innamorata sia dell’ “altra”America militante e alternativa, sia della popular culture americana – dei movimenti contro la guerra, di Elvis e di Hollywood. Nel surreale istituto “Marilyn Monroe” dove insegna il professor Apicella in Bianca di Nanni Moretti, Marilyn è il sintomo del disorientamento di una generazione di intellettuali di sinistra alla ricerca di icone disimpegnate e un po’ frivole, dopo la rinuncia a visioni apparentemente più impegnative. Adesso gli archivi dell’FBI si incaricano di suggerirci che forse era un’immagine un po’ meno frivola di quanto apparisse. Sembrava assurdo scegliersi come icone sia Malcolm X, sia Marilyn Monroe. Ma il potere in America aveva paura di entrambi: comunista o no, anche Marylin è una nostra compagna.

15 dicembre 2012

Una strage americana

il manifesto 15.12.2012 Non ho fatto in tempo a verificare, ma a me non viene in mente nessuna delle ricorrenti stragi americane che sia stata perpetrata da una donna. Al di là della modalità e degli strumenti, dunque, la dimensione di genere ci aiuta a collocare queste tragedia in un quadro un po’ meno esclusivamente americano: in fondo, anche in Italia è in corso da un pezzo una strage ininterrotta, solo che invece di un omicidio di massa tutto in una volta con armi convenzionali si tratta di uomini che uccidono le lorovittime una alla volta, usando una varietà di armi, domestiche e non. Uomini che non sopportano di non dominare più le donne, uomini che non sopportano di non riuscire a orientarsi e trovare un senso di sé, che non sopportano di vedersi sfuggire di mano i ruoli e le prerogative patriarcali su cui hanno investito la propria presenza nel mondo. Da noi, è la sfera privata che ti va in pezzi,e uccidi chi ti è vicino; negli Stati Uniti è la sensazione che sia il mondo intero che ti assedia, e allora forse è anche per questo che la violenza si scatena in spazi pubblici come vendetta sul mondo, e colpisce vittimesconosciute e senza nome nelle strade, o nelle scuole, che sono quasi l’unica istituzione residua di socialità, quindi il più immediato segno di presenza della sfera pubblica. Nell’ultima campagna elettorale si diceva che un candidato che avesse propugnato un qualche limite alla vendita e accessibilitàindiscriminata delle armi avrebbe firmato il proprio suicidio politico. Ho amici in territori marginali e in sacche dipovertà americane che vedono nel possesso del le armi l’unico segno di essere cittadini, il solo diritto di cittadinanza che sentono di esercitare – in un luogo e un tempo in cui salute, casa, lavoro non sono neanche pensati come diritti, e gli altri diritti democratici , dal diritto di parola al diritto di voto, sembrano spesso puramente virtuali o relativamente insignificanti; dove la politica non ti conosce, i media ti ignorano, e il sacrosanto diritto di proprietà è esploso con la crisi dei mutui che ti cacciano di casa, con la polarizzazione del reddito fraricchissimi e classe media impoverita, con la intrinseca precarietà del posto di lavoro. “A chi possiamo sparare?” chiede un contadino sfrattato dalla terra, in Furore di Steinbeck, il romanzo dell’altra Depressione: come fai a sparare a una banca? Oggi il nemico è ancora più senza volto, ancora più inafferrabile, il nemico è il mondo intero, e se il cinismo mercantile dell’industria e la follia ideologica della destra ti mettono a disposizione armi letali tu non hai che da allungare le mani e sparare all’impazzata, contro bersagli che non sono nessuno perché rappresentano tutti.