10 febbraio 2015

La passione indomabile del comandante Max il manifesto 10.2.2015 Mas­simo Ren­dina, coman­dante par­ti­giano, non c’è più. Aveva 95 anni (era nato a Vene­zia nel 1920), forse era nell’ordine delle cose, ma è dif­fi­cile pen­sare a quello che resta dell’antifascismo senza di lui. È stato una figura cari­sma­tica, un grande cuore e una straor­di­na­ria intel­li­genza, capace di appas­sio­nare gli stu­denti in tante scuole di Roma con la sua elo­quenza antica e coin­vol­gente, con la tan­gi­bile pas­sione per la libertà e la giu­sti­zia che lo animavano. Pre­si­dente dell’Anpi regio­nale del Lazio, era stata la sua osti­na­zione a otte­nere da Vel­troni la crea­zione della Casa della Memo­ria a Roma. Ne era stato a lungo il prin­ci­pale ani­ma­tore e la vera ispi­ra­zione: aveva la visione di un punto di rife­ri­mento inter­na­zio­nale, e con la sua com­pe­tenza di uomo della comu­ni­ca­zione si ado­pe­rava (pur­troppo con suc­cesso limi­tato) affin­ché dispo­nesse delle più avan­zate tec­no­lo­gie per col­le­garsi con il mondo intero. Ogni con­ver­sa­zione con lui era intes­suta di ricordi dei suoi rap­porti con figure impor­tanti della sto­ria, da Aldo Moro a papa Woj­tyla, sem­pre rac­con­tati con una pro­spet­tiva inso­lita, piena di rispetto ma mai subal­terna. La sto­ria della sua vita è un filo che attra­versa la sto­ria d’Italia (una lunga inter­vi­sta che facemmo alla Casa della Memo­ria bastò solo a rac­con­tarne una metà; ne pub­bli­che­remo una parte sul «mani­fe­sto» nei pros­simi giorni). Gior­na­li­sta prima della guerra, poi uffi­ciale dei ber­sa­glieri in Rus­sia, ne torna ferito e ade­ri­sce subito dopo l’8 set­tem­bre alla Resi­stenza, nelle bri­gate Gari­baldi con cui entrerà a Torino libe­rata il 25 aprile. Nel dopo­guerra, lavora a «l’Unità», poi entra alla Rai, dirige il tele­gior­nale, viene cac­ciato da Tam­broni per­ché reo di anti­fa­sci­smo, e rein­te­grato da Moro. Con­ti­nuerà a scri­vere su gior­nali e rivi­ste, e sarà autore di due libri uti­lis­simi: Ita­lia 1943–45. Guerra civile o Resi­stenza? (New­ton, 1995) e il pre­zioso Dizio­na­rio della Resi­stenza ita­liana (Edi­tori Riu­niti, 1995). Clau­dio Costa ha curato nel 2011 un film che porta il suo nome di bat­ta­glia, «Coman­dante Max», in cui Mas­simo Ren­dina rac­conta i suoi anni di guerra, in Rus­sia e nella Resistenza. Quando final­mente ci met­temmo seduti per un’intervista vera e pro­pria, par­lammo a lungo dei rap­porti fra cri­stia­ne­simo e comu­ni­smo. Era un cat­to­lico con­vinto, restato sem­pre schie­rato a sini­stra, in modo indi­pen­dente, cri­tico, e pro­prio per que­sto incrollabile. Per tutta la vita, ha con­ti­nuato ad ade­rire non ai par­titi, ma ai principi. Me lo ricordo dopo un 25 aprile par­ti­co­lar­mente dif­fi­cile, a Porta San Paolo, quando Renata Pol­ve­rini, allora pre­si­dente della Regione Lazio, ebbe la sfac­cia­tag­gine di salire sul palco e alcuni dei par­te­ci­panti pen­sa­rono di punirla tiran­dole uova o qual­cosa del genere – e col­pi­rono Mas­simo invece. Lui que­sto gesto lo disap­pro­vava e diceva: è quasi un fatto sim­bo­lico, certe forme di pro­te­sta, invece di col­pire il ber­sa­glio rea­zio­na­rio, fini­scono per fare male a noi. Forse aveva ragione, forse no; ma ci stava male.

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